La sicurezza territoriale è condizione fondamentale per la vita stessa di un luogo, e ne sono una prova le azioni svolte dall’uomo sul territorio salvese nel corso dei secoli, che hanno consentito lo sviluppo della civiltà. La bonifica di zone paludose, l’allontanamento delle acque in eccesso, la disponibilità di acqua per i diversi usi sono, infatti, i presupposti per la conservazione del territorio, ed oggi più che mai è indispensabile avere un territorio sicuro, sul quale si possa vivere, lavorare, produrre.
Se è vero che la bonifica è un’attività che non conosce fine, perché gli equilibri creati dall’uomo hanno bisogno di essere continuamente mantenuti, è altrettanto vero che è quasi impossibile trovare un inizio alla sua storia. A Salve fin dalla metà del XVIII secolo Carlo III cercò di interessarsi della bonifica delle paludi marine di Salve, ordinando all’Università di Ugento di intervenire; venne realizzato un semplice canale di deflusso che scaricava in mare le acque delle paludi. Un Regio Decreto del 1855, prevedeva bonifiche, sistemazione idraulica e rimboschimento, ma rimase inattuato a causa della fine del regno borbonico.
Gli appassionati di storia locale sanno bene che la zona delle marine di Salve era infestata dalla malaria, una malattia infettiva dovuta ad un protozoo del genere Plasmodium, che si trasmette all’uomo attraverso la puntura di zanzare del genere Anopheles: causando attacchi febbrili che rendono gli uomini incapaci di lavorare, è stata per secoli la più insidiosa nemica dell’agricoltura. La bonifica del terreno palustre era il sistema per impedire la riproduzione della zanzara. L’obbiettivo non era dunque solo rendere maggiormente produttiva una particolare zona del Salento, ma fornire l’occasione di sviluppo a interi territori. In questo senso, si fece serrata la lotta alla malaria. Per secoli si era invece creduto dipendere dai miasmi delle acque ferme, vuoi per la putrefazione della vegetazione, vuoi per il mescolarsi di acque salate e dolci.
Il prosciugamento delle paludi di Salve si impose come una misura di salute pubblica propedeutica alla piena valorizzazione di territori. E così, nel periodo post-unitario vennero effettuati vari studi, ideati dai diversi ingegneri, anche se non vennero seguiti da vere realizzazioni.
La Legge Baccarini del 1882 affidò al governo la tutela e l’ispezione sulle opere di bonifica ma gli infiniti scontri tra gli stessi componenti dell’amministrazione Provinciale rallentarono l’opera. Col fascismo, nel 1923 si inaugurò una nuova normativa definita della “bonifica integrale”, secondo la quale al prosciugamento doveva seguire la sistemazione del territorio; venne così costituito il Consorzio di bonifica Mammalie, Rottacapozza e Pali, e l’ingegner Princivalle previde nel 1928 inizialmente la costruzione di due canali a marea e poi della litoranea Torre San Giovanni – Posto Vecchio, e della strada Salve – Posto Vecchio. I successivi lavori di risanamento furono poi portati a termine negli anni ’50.
La bonifica delle paludi marine di Salve, è stata fondamentale in una zona quale il basso Salento, che costituisce un modello di riferimento di un’economia che compete nei mercati partendo dall’esaltazione dei valori del territorio e, infatti, è una rinomata meta turistica, non solo per il suo patrimonio ineguagliabile di bellezze naturali ed artistiche, ma anche per le produzioni agricole di pregio e per l’enogastronomia ad esse collegata, come agriturismo, strade del vino, prodotti tipici doc, docg, igt, parchi, oasi naturali.